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Il recentissimo scandalo della Grecia che ha lucrato sui contributi europei per le terre agricole è nulla in confronto ai casi di inefficienza o di difesa corporativa dell’Italia.

L’Italia non è un Paese povero: è un Paese dove il privilegio ha spesso più diritti della legge.
Balneari, tassisti, ambulanti, allevatori — categorie piccole ma potentissime — sono riuscite per decenni a piegare la politica, ottenendo proroghe, condoni e protezioni che oggi paghiamo tutti sotto forma di tasse elevate, servizi carenti e bilanci pubblici gonfiati di crediti inesigibili.

Mentre in Francia, Spagna, Portogallo o Croazia oltre il 50% delle spiagge resta libero e gratuito, in Italia più del 70% del litorale balneare è in concessione a privati.
Un’anomalia europea: intere porzioni di costa — bene pubblico per definizione — sono da decenni occupate da stabilimenti che pagano canoni irrisori, spesso inferiori ai mille euro l’anno.

L’Unione Europea, con la direttiva Bolkenstein (2006), chiede gare pubbliche trasparenti per l’uso dei beni comuni.
L’Italia ha accettato la direttiva, ma da vent’anni ne rinvia l’applicazione, in nome della “difesa della proprietà italiana delle spiagge”.

Dietro questo slogan si nasconde una verità scomoda: un sistema di privilegi consolidati, protetti da ogni governo — di destra o di sinistra — per timore del prezzo politico di toccare interessi organizzati.
Il risultato è che le spiagge libere in Italia sono le più poche e degradate d’Europa, mentre lo Stato incassa poco e i cittadini pagano due volte: prima con le tasse, poi con l’ombrellone.

Come finirà e (soprattutto) chi pagherà?

La Corte di Giustizia UE nel 2023 ha condannato l’Italia per violazione del diritto europeo.

L’Italia rischia ora una procedura d’infrazione con multe da centinaia di milioni di euro.

Il governo Meloni ha chiesto ulteriori rinvii “per mappatura e valorizzazione”, ma la Commissione ha già respinto i pretesti.

Le quote latte: la madre di tutte le sanatorie

La storia si ripete.
Negli anni ’80, l’Italia accettò le quote latte europee (Governo Craxi e Ministro Filippo Maria Pandolfi) per limitare la sovrapproduzione agricola, con dati del tutto falsati forse anche a causa di dichiarazioni infedeli da parte degli allevatori per paura di pagare troppe imposte…..
Gli allevatori italiani superarono sistematicamente i limiti, accumulando multe per oltre 4 miliardi di euro.
Bruxelles chiese il pagamento; Roma lo promise, poi rinviò, poi condonò.

Alla fine, lo Stato ha pagato all’UE le sanzioni (con soldi pubblici) e non ha mai recuperato i crediti dagli allevatori.
Oggi, circa 500 milioni di euro di multe risultano ancora formalmente iscritti a ruolo, ma di fatto inesigibili.

È un caso da manuale di tutela corporativa a spese della collettività: chi rispettava le regole è stato penalizzato; chi le violava, protetto.

Il grande buco delle cartelle esattoriali

Le multe per le quote latte sono solo una goccia nel mare.
Secondo l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, in Italia ci sono oltre 1.272 miliardi di euro di cartelle esattoriali non riscosse.
Più del 90% è irrecuperabile, ma rimane contabilmente “vivo”, gonfiando i numeri del bilancio statale.

Dentro questo “magazzino dei ruoli” troviamo:

  • multe agricole mai pagate,
  • sanzioni ambientali mai riscosse,
  • imposte non versate da società fallite o protette,
  • e debiti condonati con le rottamazioni, cioè sanatorie politiche ricorrenti.

Ogni governo — di qualsiasi colore — ne ha approvata almeno una, ribattezzandola “pace fiscale”.
Ma la pace, in realtà, la trovano solo i furbi.
Per tutti gli altri, il prezzo è una pressione fiscale più alta per coprire ciò che lo Stato non riesce o non vuole riscuotere.

 Il prezzo del corporativismo

Dietro ogni cartella non riscossa e ogni concessione prorogata c’è una scelta politica precisa:
tutelare una categoria, rinviare una riforma, scaricare il costo sulla collettività.

Settore

Privilegio

Costo per la collettività

Balneari

Concessioni prorogate senza gara

Mancati introiti, spiagge privatizzate

Tassisti

Licenze bloccate, concorrenza limitata

Tariffe alte, scarsa offerta

Ambulanti

Suolo pubblico rinnovato senza gara

Concorrenza distorta

Allevatori (quote latte)

Multe non pagate, condoni

4 miliardi di sanzioni coperte dallo Stato

Cartelle esattoriali

Rottamazioni e rinvii continui

1.272 miliardi di crediti

Sul piano delle cifre, la proposta è di attuare un maxidiscarico che alla luce del lavoro analitico sugli arretrati «dovrebbe riguardare complessivamente circa 408 miliardi di euro, pari al 32% del magazzino residuo». Nel falò dovrebbero finire prima di tutto 338,03 miliardi di crediti 2000-2024 «discaricabili perché giuridicamente non più esigibili» in quanto riferiti a persone fisiche decedute (35,69 miliardi), società cancellate dal registro imprese e prive di coobligati (166,73 miliardi), soggetti con procedura concorsuale chiusa (65,22 miliardi) e altri crediti prescritti (70,39 miliardi). A questi si dovrebbero aggiungere 70,44 miliardi di crediti, concentrati fra 2000 e 2010, che sono vivi sul piano giuridico ma «risultano senza prospettive di riscossione». Il grosso della “rinuncia” (347,34 miliardi) sarebbe a carico dell’Erario, ma anche l’Inps dovrebbe dire addio a 38,07 miliardi, i Comuni a 5,1 miliardi e gli altri enti a 3,2 miliardi. La spugna cancellerebbe le posizioni di 9,2 milioni di contribuenti, che si vedrebbero annullare 27,6 milioni di cartelle in cui sono iscritti 42,9 milioni di crediti. Nel gorgo sarebbero quindi destinati a finire anche singole somme tutt’altro che banali: perché ogni contribuente interessato si vedrebbe abbuonare in media qualcosa come 43.921 euro.

Quindi dopo aver pagato quanto dovuto (con molta fatica e guardando con preoccupazione ogni possibile accertamento nell’attività d’impresa) vediamo il nostro concorrente che non ha mai pagato cavarsela perché ha provveduto a intestare i suoi beni a familiari compiacenti dichiarandosi “nullatenente”, o che ha chiuso l’attività dichiarandosi irreperibile (non tutti italiani).

 

Tasse alte perché qualcuno non paga

L’Italia è tra i Paesi europei con la pressione fiscale più elevata: circa 43% del PIL, secondo Eurostat.
Ma questo non deriva solo da sprechi o inefficienze: deriva anche dal fatto che una parte consistente dei cittadini e delle imprese non paga, e che lo Stato preferisce condonare invece di riscuotere.

Ogni euro non incassato da un evasore o da un privilegiato è un euro in più che deve pagare chi non può eludere: lavoratori dipendenti, pensionati e PMI oneste.

In un Paese dove la fedeltà fiscale è minoritaria e la protezione corporativa è la norma, la pressione fiscale non può che restare alta.

Conclusione: un Paese che difende i privilegi, non i diritti

L’Italia continua a difendere le sue corporazioni come se fossero patrimoni nazionali,
ma in realtà difende rendite parassitarie che bloccano il Paese, riducono la concorrenza e alimentano il debito pubblico.

Le spiagge privatizzate, le multe non pagate, le cartelle condonate e le tasse elevate sono tutte facce dello stesso problema:
una politica che teme il consenso organizzato e sacrifica il bene comune.

Finché l’Italia difenderà le corporazioni invece dei cittadini, continuerà ad avere spiagge private, bilanci falsati e tasse pubbliche sempre più alte.