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Mentre il mondo brucia tra guerre dimenticate, pulizie etniche tollerate e diplomazie farlocche, Benjamin Netanyahu ha deciso di deliziarci con una perla geopolitica da teatro dell’assurdo: candidare Donald J. Trump al Nobel per la pace. Sì, proprio lui — l’uomo che ha stappato champagne con i falchi di Tel Aviv mentre Gerusalemme veniva “riconosciuta” capitale israeliana e Gaza si tingeva di sangue. Una proposta così sgangherata che meriterebbe il Nobel per la comicità nera.

Eppure, proprio in questa atmosfera grottesca, una candidatura seria e provocatoria merita di essere rilanciata: quella di Abdullah Öcalan, fondatore del PKK, incarcerato da 25 anni in isolamento sull’isola-prigione di Imralı, ma capace — nonostante tutto — di elaborare un pensiero di pace, democrazia radicale e convivenza multiculturale. Se il Nobel fosse ancora un premio credibile, la scelta dovrebbe essere ovvia.

Trump e il Nobel: l’ossimoro della storia

Trump è il personaggio che ha:

  • disintegrato l'accordo sul nucleare iraniano,
  • incoraggiato l'Arabia Saudita anche dopo l'omicidio Khashoggi,
  • venduto armi a chiunque gli offrisse plausi e petrolio,
  • e permesso alla Turchia di Erdogan di invadere il Rojava, abbandonando i curdi.

Che Netanyahu, sotto accusa per crimini di guerra e impegnato a riscrivere il significato stesso della parola “pace”, voglia premiare Trump è un autogol comunicativo che neanche Orwell avrebbe immaginato.

Öcalan: dalla lotta armata alla pace democratica

Öcalan non è un santo. Ma chi ha letto i suoi scritti dal carcere sa che la sua traiettoria è unica nel panorama politico mediorientale. Ha rinnegato la lotta armata come via unica, promuovendo invece un modello di confederalismo democratico basato su:

  • autonomia locale,
  • convivenza tra etnie e religioni,
  • parità di genere,
  • ecologismo radicale.

Modello incarnato dal Rojava, l’unica area in Siria che ha sconfitto militarmente l’ISIS e costruito un’esperienza pluralista mentre tutto intorno si imponevano regimi, milizie e settarismi.

La farsa e la proposta

Che Netanyahu parli di pace mentre bombarda ospedali è già tragicomico. Che Trump sia considerato un "uomo di pace" mentre ha infiammato il mondo intero con tweet e embarghi, è satira involontaria. Ma che Öcalan venga ignorato dai salotti buoni di Oslo, mentre le sue idee ispirano migliaia di giovani in cerca di giustizia sociale e autodeterminazione, è una colpa storica.

Il Nobel per la Pace ha premiato Obama prima che iniziasse nuove guerre, l’Unione Europea mentre affondava i migranti nel Mediterraneo, e Henry Kissinger per aver "negoziato" la fine di una guerra che aveva contribuito a prolungare. Se oggi vuole davvero riabilitarsi, dovrebbe voltare le spalle alla diplomazia dei miliardari e ascoltare le voci silenziate nei sotterranei della storia.

Il Nobel a Öcalan non sarebbe solo un atto simbolico: sarebbe un atto di coraggio. E un gigantesco schiaffo morale a chi spaccia colonizzazione e apartheid per "accordi di pace".